venerdì 25 maggio 2012

Cielo azzurro e temporale

Ogni volta esco da quel posto con la testa piena di storie, di volti, di pensieri. Ogni volta qualcuno lascia qualcosa a cui pensare. Credo di sapere come gira il mondo, almeno a spanne, e immagino persone senza pelle. Vedo occhi stanchi, corpi consumati o sporchi o luridi o sfiniti. Fragilità. Persone fragili, a tratti malfidenti o rifiutanti. Un uomo di più di due metri d’altezza, con la barba lunga e i capelli lunghissimi grigi, si regge su stampelle nere, guarda in un modo che non posso fare altro che andarmene ed è come se stesse dicendo che gli manca una gamba ma ha le spalle e la forza di un gigante. Un uomo ha una malattia della pelle che né i dottori marocchini né quelli italiani né quelli francesi sanno definire. Ha delle grosse macchie sul viso, macchie che hanno completamente trasformato il suo viso dalla pelle scura. Un uomo con pochi capelli grigi parla di alcol e camionisti a bassa voce. Una donna grida che sta perdendo gli ultimi denti marci che le sono rimasti e a nessuno gliene sbatte una minchia. Un’altra si tira una coperta sulla testa e borbotta qualcosa sul fatto che è ora di spegnere la luce. Un’altra, che aspetta di entrare in doccia, esce in corridoio in boxer da uomo gridando che ha quel pancione perché ciuccia, non perché è grassa. E che, porca puttana, del pane non si nega a nessuno. Hanno tutte fame, nella sua stanza. Un ragazzo racconta con gli occhi che luccicano che tra un mese avrà una casa, ospite da un amico ecuadoriano che lo aiuta a cercarsi un lavoro. Un uomo calvo dice che tra qualche mese riceveremo tutti l’invito al suo matrimonio e ci sarà dello spumante per tutti. Un uomo sulla sessantina, con occhi di ghiaccio e atteggiamento compiacente, parla del carcere come fosse il luogo in cui tutti, prima o poi, passeremo, l’unica certezza. Una donna grande e dolce piange per il figlio di tre anni che non può vedere. Vorrebbe sfogarsi, ma non esce una parola. Un uomo racconta lentamente la sua storia, balbettando. Racconta dall’inizio e, con il passare degli anni della sua vita, aumentano anche i balbettii, fino a che è costretto a lunghe pause, gira lo sguardo e fa un grosso respiro. Una donna mi parla a una distanza che mi butta addosso, tutto in un momento, tutto il vino da cartone della giornata. Giusto, sbagliato, offensivo, inopportuno. Forse. Forse sono io inopportuna. Forse non saprei mai, non saprò mai.

2 commenti:

andreaechorn ha detto...

Bello scritto.
La parte occulta dell'apparato sociale, quella la cui frequentazione permette l'accesso ad una coscienza più reale della struttura in cui viviamo. Sebbene questo abbia i suoi limiti geografici e che dunque il mondo rimarrà sempre forma sconosciuta.

ale ha detto...

Limitandosi a misere considerazioni: passeggiavo ieri fuori da un collegio con muri alti poco più di due persone e cancelli riempiti di ferro blu. Niente spiragli. Niente intersizi. Dentro stavano giocando, forse con una palla. Pura definizione non solo di spazi ma anche di orizzonti. Che l'occhio si trovi all'interno o all'esterno, è sul quel muro o su quel ferro che la messa a fuoco sarà costretta a regolarsi.

Eppure non si tratta di una parte occulta. Si sa benissimo chi c'è dentro un muro. Anzi, forse grazie al muro lo si sa ancora meglio.

Bello veramente lo scritto. Soprattutto laddove tiene vivi i contagi che un muro tenta di scongiurare.