sabato 25 giugno 2011

Invisibili {pensieri per l’inverno d’estate}

Uno spettacolo inedito. Lo intravedi, non lo puoi avvicinare o studiare. Lo intravedi allontanandoti in treno dalla città, in direzione Venezia. Un luogo abitato, nel vero senso della parola. Coperte stese, sacchi a pelo, carrelli per la spesa colmi d’oggetti, cartoni, giornali aperti. Una sorta di flash. Lo spettacolo compare e scompare. Un tetto, una parete grigia, coperte ordinate, in fila. Poi solo cantieri e inesorabili binari, per allontanarsi. È il luogo dove abitano alcune persone, dove trascorrono la notte. Durante il giorno sono non-persone. Sotto una etichetta non ben definita, ma che forse nemmeno importa, la categoria a cui appartengono li rende comunque invisibili. Completamente trasparenti. Incapaci di suscitare in chi si accorga eventualmente di loro sensazioni diverse da quel misto amaro (e fin troppo consapevole) di disprezzo, disgusto e timore.
Ancora sono incapace di avvicinarmi a quel mucchio di coperte. Riassume in modo troppo efficace l’altra faccia della mia città perbenista, cattolica e ordinata.



È la società a stabilire quali strumenti debbano essere usati per dividere le persone in categorie e quale complesso di attributi debbano essere considerati ordinari e naturali nel definire l’appartenenza a una di quelle categorie. Sono i vari contesti sociali a determinare quali categorie di persone incontreremo, con maggiore probabilità, all’interno di tali contesti. La consuetudine sociale nei confronti di questi contesti stabiliti ci permette, senza una particolare attenzione o analisi approfondita, di instaurare un rapporto con le persone la cui presenza avevamo previsto. Quando ci troviamo davanti un estraneo, è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi, qual è, in altri termini, la sua "identità sociale".
'Considerazioni preliminari' in Erving Goffman Stigma. L’identità negata. Ed. Ombre corte, Verona 2008, pag. 12.